giovedì 22 aprile 2010
Jodi Socìas
Se si vuole capire l'evoluzione del fotogiornalismo spagnolo (ma non solo) non si può prescindere da un nome: Jodi Socìas. Nei suoi scatti c'è tutto: scrittori, artisti, sensazioni ma soprattutto molta vita. Lo stile particolare di questo grande maestro nato da una famiglia operaia e cresciuto alla scuola delle strade di Barcellona lo ha consacrato nelle vesti di "narratore". Un artista e un giornalista che ha fissato i nuovi canoni del fotogiornalismo moderno che è ha aiutato più di una generazione a scoprire e capire che l'immagine è uno strumento di narrazione autentico, "audace" e rivoluzionario. Un occhio indiscreto che ha aiutato la storia, la cronaca e l'arte
giovedì 15 aprile 2010
Il dopoguerra in America
e l'inedito Kubrick fotoreporter
Al Palazzo della Ragione di Milano dal 16 aprile gli scatti del 17enne Stanley, futuro cineasta
Una delle immagini di Stanley Kubrick esposte a Milano
Chissà se a soli 17 anni Stanley Kubrick immaginò mai che sarebbe diventato uno dei più celebri registi della storia del cinema, che avrebbe scritto Arancia Meccanica o diretto pellicole come Barry Lyndon, Shining e Eyes Wide Shut. Di certo Kubrick, aspetto poco conosciuto della carriera del grande cineasta, nel 1945 venne assunto come fotoreporter dalla rivista americana Look. Aveva solo 17 anni, appunto, e per cinque lavorò al magazine. Il suo sguardo e il suo obiettivo ritrassero l'America dell’immediato dopoguerra, attraverso le storie di celebri personaggi come Rocky Graziano o Montgomery Clift, le inquadrature fulminanti e ironiche nella New York che si apprestava a diventare la nuova capitale mondiale, o ancora la vita quotidiana dei musicisti dixieland. Trecento di quelle fotografie scattate da Kubrick tra il 1945 e il 1950, molte delle quali inedite e stampate dai negativi originali, saranno esposte dal 16 aprile al 4 luglio al Palazzo della Ragione di Milano.LA MOSTRA - L’esposizione è stata curata da Rainer Crone e realizzata dal Comune di Milano - Cultura e da Giunti Arte Mostre Musei, in collaborazione con la Library of Congress di Washington e il Museum of the City of New York (che custodiscono un patrimonio ancora sconosciuto di oltre 20.000 negativi di Stanley Kubrick, giovanissimo, ma già grande fotografo). «Una mostra che racconta anzitutto lo "sguardo" di Kubrick che si è rivelato essere uno dei tratti stilistici più interessanti della sua poetica cinematografica - spiega l'assessore alla Cultura del Comune di Milano Massimiliano Finazzer Flory -. Conosciuto ai più per gli indimenticabili film che hanno segnato la storia del cinema, Kubrick si è brillantemente distinto per la sua attività di fotoreporter. Una carriera fotografica che si è dispiegata all’insegna della ricerca dell’anima dei personaggi ritratti al pari degli ambienti con una personalissima visione del reale e dei suoi stratificati livelli di significato». Il percorso espositivo è organizzato in due parti. La prima, divisa a sua volta in 7 sezioni, avrà un’introduzione, Icone, nella quale vengono presentate le immagini simbolo delle storie che l’occhio dell’obiettivo di Kubrick ha immortalato. Come Portogallo che racconta il viaggio in terra lusitana di due americani nell’immediato dopoguerra, o ancora Crimini, che testimonia l’arresto di due malviventi seguendo i movimenti dei poliziotti, le loro strategie, le loro furbizie, fino all’avvenuta cattura. La seconda parte del percorso toccherà altri argomenti rappresentativi della breve carriera di Kubrick fotografo, come le immagini dedicate al giovane Montgomery Clift colto all’interno del suo appartamento, o quelle del pugile Rocky Graziano, che raccontano i momenti pubblici e privati di un eroe moderno, o ancora l’epopea dei musicisti dixieland di New Orleans.
PASSIONE EREDITATA - Una delle due passioni ereditate dal padre quella di Kubrick per la fotografia (l’altra furono gli scacchi), che si esaurì purtroppo in un quinquennio. La prima fotografia venne pubblicata il 26 giugno 1945 e ritrae un edicolante affranto per la morte di Roosevelt, un’immagine che conquisterà gli editors di Look. Il metodo Look, caratterizzato da una narrazione a episodi, prevedeva che il soggetto fosse seguito costantemente e fotografato in tutto ciò che faceva. Uno stile invadente che su Kubrick esercitò un grande fascino. Per ottenere dai personaggi delle pose che fossero più naturali possibili, Kubrick metteva in atto una serie di stratagemmi per passare inosservato, come nascondere il cavo della macchina fotografica sotto la manica della giacca e azionare l’otturatore con un interruttore nascosto nel palmo della mano. Gran parte del senso estetico che ritroviamo nei suoi film, fiu espresso già dal lavoro di quegli anni. Le istantanee di Kubrick - sottolinea il curatore della mostra - stupiscono per la loro sorprendente maturità, e non possono essere considerate come archivi visivi della gioia di vivere, catturata dallo spirito attento e pieno di humor di un giovane uomo.
e l'inedito Kubrick fotoreporter
Una delle immagini di Stanley Kubrick esposte a Milano |
LA MOSTRA - L’esposizione è stata curata da Rainer Crone e realizzata dal Comune di Milano - Cultura e da Giunti Arte Mostre Musei, in collaborazione con la Library of Congress di Washington e il Museum of the City of New York (che custodiscono un patrimonio ancora sconosciuto di oltre 20.000 negativi di Stanley Kubrick, giovanissimo, ma già grande fotografo). «Una mostra che racconta anzitutto lo "sguardo" di Kubrick che si è rivelato essere uno dei tratti stilistici più interessanti della sua poetica cinematografica - spiega l'assessore alla Cultura del Comune di Milano Massimiliano Finazzer Flory -. Conosciuto ai più per gli indimenticabili film che hanno segnato la storia del cinema, Kubrick si è brillantemente distinto per la sua attività di fotoreporter. Una carriera fotografica che si è dispiegata all’insegna della ricerca dell’anima dei personaggi ritratti al pari degli ambienti con una personalissima visione del reale e dei suoi stratificati livelli di significato». Il percorso espositivo è organizzato in due parti. La prima, divisa a sua volta in 7 sezioni, avrà un’introduzione, Icone, nella quale vengono presentate le immagini simbolo delle storie che l’occhio dell’obiettivo di Kubrick ha immortalato. Come Portogallo che racconta il viaggio in terra lusitana di due americani nell’immediato dopoguerra, o ancora Crimini, che testimonia l’arresto di due malviventi seguendo i movimenti dei poliziotti, le loro strategie, le loro furbizie, fino all’avvenuta cattura. La seconda parte del percorso toccherà altri argomenti rappresentativi della breve carriera di Kubrick fotografo, come le immagini dedicate al giovane Montgomery Clift colto all’interno del suo appartamento, o quelle del pugile Rocky Graziano, che raccontano i momenti pubblici e privati di un eroe moderno, o ancora l’epopea dei musicisti dixieland di New Orleans.
PASSIONE EREDITATA - Una delle due passioni ereditate dal padre quella di Kubrick per la fotografia (l’altra furono gli scacchi), che si esaurì purtroppo in un quinquennio. La prima fotografia venne pubblicata il 26 giugno 1945 e ritrae un edicolante affranto per la morte di Roosevelt, un’immagine che conquisterà gli editors di Look. Il metodo Look, caratterizzato da una narrazione a episodi, prevedeva che il soggetto fosse seguito costantemente e fotografato in tutto ciò che faceva. Uno stile invadente che su Kubrick esercitò un grande fascino. Per ottenere dai personaggi delle pose che fossero più naturali possibili, Kubrick metteva in atto una serie di stratagemmi per passare inosservato, come nascondere il cavo della macchina fotografica sotto la manica della giacca e azionare l’otturatore con un interruttore nascosto nel palmo della mano. Gran parte del senso estetico che ritroviamo nei suoi film, fiu espresso già dal lavoro di quegli anni. Le istantanee di Kubrick - sottolinea il curatore della mostra - stupiscono per la loro sorprendente maturità, e non possono essere considerate come archivi visivi della gioia di vivere, catturata dallo spirito attento e pieno di humor di un giovane uomo.
lunedì 8 marzo 2010
La notte degli oscar.. i verdetti
Trionfa la Bigelow, prima Lady Oscar
Batte l'ex marito e il tabù di Hollywood
L'ex moglie di Cameron prima donna premiata per la regia. «The hurt locker» è anche il miglior film e lascia ad Avatar tre premi.
Kathryn Bigelow con Barbara Streisand nella Notte degli Oscar |
SEI STATUETTE - A The Hurt Locker sono andate sei statuette. Oltre a regia e miglior film, quelle per la migliore sceneggiatura originale, miglior montaggio, miglior suono, miglior montaggio del suono. La strada per l'Oscar fatta dal film della Bigelow è molto lunga: uscito nel 2008 e presentato alla mostra del cinema di Venezia, è uscito in sordina in Italia ma ha costruito il proprio riscatto in un momento in cui la guerra in Iraq è un tema quasi tabù per Hollywood. The Hurt Locker racconta la storia di una squadra di artificieri impegnata in Iraq e in particolare la dipendenza di uno di loro dalla scarica di adrenalina che gli trasmette disinnescare gli ordigni preparati dalla guerriglia irachena.
domenica 7 marzo 2010
Quella rivoluzione silenziosa nello sguardo dei fotografi italiani
SORPRENDENTI RISULTATI AL WORLD PRESS PHOTO E IL NUMERO SPECIALE DELL’«EUROPEO»
Primo premio a Pietro Masturzo e altri nove riconoscimenti ad autori connazionali
Se di un atto liberatorio avevamo bisogno, questo è arrivato come un’epifania dalla giuria del prestigioso World Press Photo che, tra infinite proiezioni, discussioni e tanti caffè nei bar di Amsterdam, ha assegnato il primo premio a Pietro Masturzo, giovane free lance napoletano e altri nove riconoscimenti ad altrettanti fotografi italiani. Non era mai capitato prima. La foto di Masturzo ritrae una donna urlare la sua rabbia contro gli orrori del regime di Ahmadinejad dal tetto di una casa di Teheran: una foto dalla luce magrittiana, surreale e sospesa nel tempo per un premio, dunque, che non solo libera la fotografia nostrana da un malcelato complesso di inferiorità nel rapporto con la storia del fotogiornalismo internazionale, ma rivela una verità (spesso sconosciuta) sul valore dello sguardo degli autori italiani.
Marion Cotillard dice sì a Woody Allen
LA NOTTE DEGLI OSCAR.. le nomination
venerdì 5 marzo 2010
PARIGI CAPITALE DELLA FOTOGRAFIA 1920-1940 Collezione Christian Bouqueret 14 Gennaio - 11 Aprile 2010
Un nuovo appuntamento con la grande fotografia al MNAF dove il 14 Gennaio viene presentata la mostra "Parigi Capitale della Fotografia 1920-1940", che nasce dalla collaborazione tra il Jeu de Paume e la Fratelli Alinari Fondazione per la Storia della Fotografia. Si tratta della prima grande mostra di questo importante periodo storico del Novecento dedicata alla sola fotografia. Vi sono esposte oltre 100 opere (tutte vintage prints) di una quarantina di fotografi che hanno lavorato a Parigi tra il '20 ed il '40, accanto a documenti originali dell'epoca (riviste, libri etc). Curata da Marta Ponsa e Michaël Houlette, l'esposizione arriva, dopo Parigi, nel Museo fiorentino della fotografia, offrendo un'occasione per un appassionante itinerario alla scoperta della "Nuova Visione Fotografica in Francia", così definita dai curatori stessi. Nei primi anni Venti, Parigi si afferma come capitale mondiale delle avanguardie artistiche, comprendenti anche la fotografia. Capitale cosmopolita e libertaria diviene presto la città "scelta" da fotografi provenienti dall'Europa, dalla Russia e dall' America, quindi il luogo stimolante di incontro e di scambio di esperienze, nonché di linguaggi. Fotografi francesi come Florence Henri, Maurice Tabard, Roger Schall, Henri Cartier-Bresson. Emmanuel Sougez, Pierre Boucher - solo per citarne alcuni - vissero fianco a fianco con i tedeschi Erwin Blumenfeld, Marianne Breslauer e Ilse Bing, gli ungheresi Andrè Kertész, Rogi André, François Kollar, Gisèle Freund e Brassa?, i russi Hoyningen-Huene e Rudomine, gli americani Man Ray e Berenice Abbott. Nei movimenti di avanguardia, quindi, la fotografia conquista uno spazio ben definito dimostrando di poter essere dadaista e surrealista, e non solo rappresentante la realtà oggettiva. Di tale storia ne è testimonianza la straordinaria collezione raccolta dallo storico Christian Bouqueret, autore di numerose pubblicazioni dedicate alla storia della fotografia come Surrealist Photography, Des annés folles aux annés noires, Histoire de la Photographie en images, nonché di studi monografici su Laure Albin Guillot, Raoul Ubac, Germaine Krull, Roger Parry, René Zuber e Jean Moral. |
giovedì 4 marzo 2010
l'hortus conclusus
I giardini della Genesi, quelli del Vangelo, i nuovi cieli e nuova terra dell’Apocalisse di Giovanni, sono i modelli di riferimento di tutta l’esperienza alto medievale, ai quali si aggiunse in epoca successiva un nuovo archetipo l’Hortus conclusus del Cantico dei Cantici che recita: "giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata". Nel significato più diffuso l’hortus conclusus era costruito al fine di avere un posto segreto e dedicato alla meditazione, concepito come luogo privilegiato per confortare l’uomo nella lotta continua dalle tentazioni mondane.
L'albatro- Charles Boudlaire
Spesso, per divertirsi, le ciurme Catturano degli albatri, grandi uccelli marini, che seguono, compagni di viaggio pigri, il veliero che scivola sugli amari abissi. E li hanno appena deposti sul ponte, che questi re dell’azzurro, impotenti e vergognosi, abbandonano malinconicamente le grandi ali candide come remi ai loro fianchi. Questo alato viaggiatore, com’è goffo e leggero! Lui, poco fa così bello, com’è comico e brutto! Qualcuno gli stuzzica il becco con la pipa, un altro scimmiotta, zoppicando, l’infermo che volava! Il poeta è come il principe delle nuvole Che abituato alla tempesta ride dell’arciere; esiliato sulla terra fra gli scherni, non riesce a camminare per le sue ali di gigante.
LA VITA AL CONTRARIO, Woody Allen
La vita dovrebbe essere vissuta al contrario.
martedì 2 marzo 2010
MIS EN ABYME (PARTE 1)
Mis en abyme è un blog che propone delle liste di film e libri, riporta inoltre dei brani di svariati autori, la loro biografia e una breve presentazione del loro pensiero. Tutto ciò e accomunato da un forte carattere comico-tragico, dunque grottesco. la tragicomicità delle opere che questo blog propone è volta a condurre il visitatore verso una visione diversa della propria esistenza. Attraverso personaggi come Freud, Pirandello, Bergson, ma anche come woody allen o Magritte viene proposta una corrente di pensiero volta a distruggere qualsiasi visione finalistica o logica della condizione umana. ciò che accomuna tutti questi artisti è il considerare la vita priva di qualsiasi logica o strana finalità nascosta. Essi pensano fermamente che la vita sia dominata dal caos. distruggono il castello, fatto di false sicurezze, che l'uomo in migliaia di anni ha è costruito intorno a sè e, attraverso la loro tragicomicità propongono la loro visione, che , attraverso la completa distruzione di ogni schema ed ogni logica fa cadere l'uomo nell'abisso. Solo coloro che pensano, attraverso l'arte, riescono a liberarsi dalle logiche umane, ed "entrare nell'abisso" e, inizialmente si sentono diversi e dunque quasi superiori, ma dopo poco capiscono che ciò che hanno ricercato è in realtà il nulla completo.. qua entra in gioco Woody allen che, essendo un nostro contemporaneo e dunque avendo potuto, come noi, seguire l'intero svolgimento di tale pensiero, scherza, attraverso il cinema su questo problema.
ovvero egli esprime al massimo la tragicomicità di quella persona che ( come lui) ha passato anni ad interrogarsi sui fini e le verità della vita, si è fatto baluardo di questo pensiero, ma alla fine si accorge che da questo pensiero ha tratto solo un "ulcera cronica" che i dottori non trovano ma lui sostiene di avere, ed ha passato anni in psicoanalisi a cercare di curare un problema che in realtà è incurabile perchè è parte fondamentale dell'essere, ovvero il non essere. la genialità di Woody Allen sta nel trasmettere allo spettatore questo pensiero; cioè che la vita non ha alcun senso, e colui che attribuisce un senso alla vita è essenzialmente e irrimediabilmente uno stupido, ma che comunque vivrà sicuramente meglio di colui che dedica la sua vita a questi grandi quesiti e che guadagna da questi solamente una vita ossessionata da dolori psicosomatici causati da un unico e irrisolvibile problema che lo caratterizza: il "memento mori". le sicurezze, le logiche, i grandi fini, sono osessioni, forse stupide, ma che svolgono un importante ruolo; quello di distogliere l'uomo dal pensare all'unica sicurezza che egli, fin dalla nascita ha, la morte.
Woody Allen scherza su questo argomento, presentando un personaggio talvolta rassegnato talvolta impacciato, che incarna perfettamente la tragicomicità pirandelliana e che fa capire all'attento spettatore proprio questo concetto, ovvero che colui che capisce che tutte le sicurezze che l'uomo crede di avere quasi sicuramente sono false, e abbraccia un pensiero fondamentalmente nihilista ottiene solo una vita paradossalmente peggiore di chi al contrario sposa totalmente teorie finalistiche riguardo all'esistenza.